Camillo Sbarbaro (Poeta)chiude la schiena arida dei monti;scavata da improvvisi fiumi; morsadal sale come anello d'ancoraggio;percossa dalla farsa; combattutadai venti che ti recano dal largol'alghe e le procellarie- ara di pietra sei, tra cielo e marelevata, dove brucia la canicolaaromi di selvagge erbe.Liguria,l'immagine di te sempre nel cuore,mia terra, porterò, come chi parteil rozzo scapolare che gli appeselagrimando la madre.Ovunque fuinelle contrade grasse dove l'erbasimula il mare; nelle dolci terredove si sfa di tenerezza il cielosu gli attoniti occhi dei canalie van femmine molli bilanciandosecchi d'oro sull'omero - dovunque,mi trapassò di gioia il tuo pensatoaspetto.Quanto ti camminai ragazzo! Ad ognisvolto che mi scopriva nuova terra,in me balzava il cuore di Cabotoil dì che dal malcerto legno scorsesul mare pieno di meravigliosonascere il Capo.Bocconi mi buttai sui tuoi fonti,con l'anima e i ginocchi proni, a bere.Comunicai di te con la farinadella spiga che ti inazzurra i colli,dimenata e stampata sulla madia,condita dall'olivo lento, fattasapida dal basilico che crescenella tegghia e profuma le tue case.Nei porti delle tue città cercai,nei fungai delle tue case, l'amore,nelle fessure dei tuoi vichi.Bevvialla frasca ove sosta il carrettiere,nella cantina mucida, dal gottomassiccio, nel cristallotolto dalla credenza, il tuo vin aspro- per mangiare di te, bere di te,mescolare alla tua vita la miacaduca.Marchio d'amore nella carne, variacome il tuo cielo ebbi da te l'anima,Liguria, che hai d'invernocieli teneri come a primavera.Brilla tra i fili della pioggia il sole,bella che ridie d'improvviso in lagrime ti sciogli.Da pause di tepido ingannate,s'aprono violette frettolosesulle prode che non profumeranno.Le petraie ventose dei tuoi monti,l'ossame dei tuoi greti;il tuo mare se vi trascina il solelo strascico che abbaglia o vi saltellauna manciata fredda di zecchinile notti che si chiamano le barche;i tuoi docili clivi, tocchi d'ombradall'oliveto pallido, caniziebenedicente a questa atroce terra:- aspri o soavi, effimeri od eterni,sei tu, terra, e il tuo mare, i soli voltiche s'affacciano al mio cuore deserto.Io pagano al tuo nume sacrerei,Liguria, se campassi della rete,rosse triglie nell'alga boccheggianti;o la spalliera di limoni al sole,avessi l'orto; il testo di garofani,non altro avessi:i beni che tu doni ti offrirei.L'ultimo remo, vecchio marinaiot'appenderei.Chè non giovano, a dir di te, parole:il grido del gabbiano nella schiumala collera del mare sugli scogliè il solo canto che s'accorda a te.Fossi al tuo sole zolla che germogliail filuzzo dell'erba. Fossi pinoabbrancato al tuo tufo, cui nel crinepassa la mano ruvida aquilone.Grappolo mi cocessi sui tuoi sassi.
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